I fattori ESG hanno fatto prepotentemente registrare il loro ingresso nel mondo del credito. Un ingresso molto pervasivo che interessa plurime fonti normative e non, che trova attuazione in molteplici ambiti:
Ciò che si osserva è che in generale l’operatore del credito e la banca in generale si concentra sull’erogazione del credito “green” richiedendo informazioni, determinando un rating ESG, prevedendo addirittura “green covenants” che fanno dipendere le condizioni del credito (ad esempio il tasso complessivo) sull’effettivo raggiungimento di obiettivi Ambientali, Sociali o di Governance. L’obiettivo è quindi sostanzialmente erogare finanza sostenibile che vada a migliorare l’impatto delle imprese sull’ambiente in generale.
In realtà nulla! Solo che si tratta di una sola faccia della medaglia. Il problema è che la seconda faccia è molto più rischiosa della prima e a parere di chi scrive è ampiamente sottovalutata allo stato. Ma di cosa stiamo parlando?
Facciamo un passo indietro. I principi europei di rendicontazione di sostenibilità (European Sustainability Reporting Standards, ESRS) introdotti dalla CSRD richiedono pratiche ufficiali di valutazione e rendicontazione della doppia materialità. Ma che cosa si intende per "doppia materialità"? In sostanza secondo il principio della doppia materialità le aziende devono presentare una rendicontazione che chiarisca sia il modo in cui l'azienda è interessata dalle questioni di sostenibilità (approccio dall'esterno verso l'interno, la c.d. materialità "outside-in"), sia su come le attività aziendali influiscono sulla società e sull'ambiente (approccio dall'interno verso l'esterno ovvero la materialità "inside-out").
Se ci pensiamo, il mondo del credito sembra concentrarsi quasi esclusivamente sul profilo di materialità inside-out, ovvero su come l’azienda influisce sull’ambiente (mitigando tali impatti attraverso finanziamenti dedicati). Al contrario, l’approccio outside-in, cioè il modo in cui i fattori ambientali possono incidere sull’impresa e, di riflesso, sul rischio di credito, appare, a giudizio di chi scrive, nettamente in secondo piano.
Tuttavia, tale approccio apre a visioni del credito e in particolare del rischio di credito molto impattanti e assolutamente da non sottovalutare.
Secondo l’approccio outside-in non è solo l’impresa che impatta sull’ambiente (visione inside-out) ma è anche l’ambiente che impatta sull’impresa. Di seguito, alcuni casi concreti in cui l’ambiente (in senso ampio, includendo anche regolamentazioni e transizione ecologica) impatta sull’impresa e, di conseguenza, sul rischio di credito:
Questi semplici esempi ci portano a comprendere come i maggiori rischi ambientali non risiedano nel credito da concedere ma bensì nel credito già concesso. L’attività da condurre da parte dell’intermediario finanziario è il monitoraggio degli affidati redigendo una sorta di “heatmap ” che rappresenti i settori più a rischio da esternalità negative dovute alla transizione o al cambiamento climatico.
Una volta individuati i clienti più a rischio potrebbe essere opportuno avviare un’attività di confronto per comprendere quali siano i piani di reazione di tali imprese per eventualmente supportare finanziariamente tali piani.
In generale si registra una eccessiva attenzione all’ottica inside-out dei fattori ESG mentre i più importanti rischi di credito derivano dalla logica outside-in. L’analisi creditizia deve quindi orientarsi a contemplare contemporaneamente entrambi gli approcci sia in occasione dell’erogazione di nuovo credito sia nell’analisi e monitoraggio del portafoglio di credito già erogato. Per non trovarsi impreparati, gli intermediari finanziari dovrebbero integrare stabilmente questi approcci nelle proprie procedure di erogazione e monitoraggio, costruendo scenari di rischio che includano sia l’impatto sull’ambiente dell’impresa che l’impatto dell’ambiente sull’impresa.
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